L’ISTAT ha rilevato un aumento della disoccupazione nel mese di febbraio 2019, rispetto a gennaio.
Con una variazione di -0,1 punti percentuale rispetto al mese precedente, il tasso di disoccupazione in Italia si assesta, quindi, al 10,7%. Anche l’occupazione è in calo di uno 0,1%; e il tasso totale è, pertanto, del 58,6%. Sono diminuite 33.000 unità di lavoratori permanenti e 11.000 di lavoratori a termine. In aumento i lavoratori indipendenti (+30.000 unità).
Il dato su base annua vede un -1,4% (39.000 unità) di disoccupati.
Decisamente negativo, invece, il confronto con il dato minimo pre-crisi, che registrò un 5,8% di disoccupazione ad aprile 2007, contro il 10,7% attuale.
Quanto poi al tasso di disoccupazione giovanile, (15-24 anni), a febbraio si attesta al 32,8%, registrando uno 0,1% in meno rispetto a gennaio.
Anche in questo caso emerge il dato preoccupante di quasi 14 punti percentuali in più rispetto al dato minimo pre-crisi, che a febbraio 2007 registrava un 19,4%.
Anche i dati Eurostat sono sconfortanti : l’Italia si posiziona terza in UE, dopo Grecia (18% a dicembre 2018) e Spagna (13,9%) per il tasso di disoccupazione totale. mentre ha addirittura il secondo tasso più alto di disoccupazione giovanile, dopo il 39,5% della Grecia, a seguire la Spagna con un 32,4%. I Paesi europei a più basso tasso di disoccupazione giovanile sono la Germania (5,6%) e la Repubblica Ceca (6%).
Questi dati si commentano da soli: il nostro sistema-Paese non è in grado di creare sufficienti posti di lavoro per i suoi Cittadini.
La storia delle più recenti politiche e delle conseguenti principali riforme del lavoro vede nel 1997 il cosiddetto pacchetto Treu, poi la riforma Biagi (nel 2003), quella Fornero (nel 2012), il jobs act del governo Renzi (nel 2014) fino al recente decreto dignità di fine 2018,
Una storia che ha visto succedersi obiettivi e provvedimenti normativi assai diversi tra loro. Riforme, tra l’altro, spesso “riformate” con modifiche e interventi correttivi che ne hanno svilito l’essenza fondante. Il risultato di tutti questi tentativi, comunque, è fallimentare, stante i dati appena diramati dall’Istat e da Eurostat.
Forse sarebbe ora di prendere atto che nessuna politica del lavoro è in grado di “creare” posti di lavoro in un contesto economico in recessione e che ciò di cui ha bisogno il Paese è liberare le energie di coloro che lo abitano e ancora non si sono arresi.
Per liberare queste energie occorrono semplificazione e certezza delle poche regole necessarie a garantire un corretto funzionamento del sistema generale. Eccesso normativo e di burocrazia sono un ostacolo per le imprese, per la realizzazione di idee e progetti e, quindi, per nuove possibilità di collocamento nel mondo lavorativo.
Quali dati peggiori attendono i nostri rappresentanti politici per capire la gravità della situazione ed agire conseguentemente?
A cura di: Studio Spinapolice & Partners