ANNO XII - &MAGAZINE - 

UBS vince in tribunale contro cliente speculatore.

Il Tribunale cantonale di Zurigo ha respinto la causa intentata da un cliente di UBS contro la banca. L'uomo riteneva l'istituto responsabile delle perdite derivanti da operazioni valutarie rischiose. Aveva scommesso sull'aumento dei tassi di cambio del rublo durante l'annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. 

L'uomo chiedeva a UBS un risarcimento di circa 1,5 milioni di franchi, secondo la sentenza recentemente pubblicata. Come già il tribunale di grado inferiore, anche il Tribunale cantonale ha respinto la richiesta.

Il cliente della banca, che vive in Germania, ha condotto diverse operazioni di cambio a termine per sé e per i suoi figli tramite UBS da marzo a settembre 2014. Il volume delle transazioni ammontava all'equivalente di oltre 5 milioni di franchi.

Nel corso del 2014, con l'annessione della penisola ucraina di Crimea da parte della Russia, il valore del rublo ha subito un brusco calo. Mentre all'inizio del 2014 un rublo valeva ancora circa 2,7 centesimi, il 16 dicembre è temporaneamente crollato a 1,2 centesimi.

Questa fluttuazione, effettivamente forte, nel giro di un giorno è diventata la rovina del cliente di UBS. Poiché le perdite contabili sulle sue posizioni erano diventate troppo elevate, la banca le ha liquidate. Ciò ha comportato per il cliente una perdita di circa 1,5 milioni di franchi. Se il cliente avesse depositato tempestivamente ulteriori garanzie, le posizioni sarebbero potute rimanere aperte nonostante l'aumento delle perdite.

La banca ha agito correttamente

Il tribunale ha dovuto stabile se la banca ha agito correttamente, ossia se ha informato per tempo il cliente del problema e se gli ha dato tempo sufficiente per depositare il denaro. Il ricorrente ritiene di no e sostiene che sarebbe stato disposto a fornire più garanzie. Per lui era chiaro «che la valuta russa non sarebbe mai caduta a picco».

La banca, invece, ha affermato che tra le 14:30 e le 15:00 di quel giorno ha chiamato il cliente chiedendogli di fornire «immediatamente» ulteriori garanzie. In caso contrario, le operazioni a termine sarebbero state chiuse.

La sentenza non è ancora definitiva. Il ricorrente ha presentato ricorso al Tribunale federale.

 

Leggi anche:


Popolare di Bari risarcirà un azionista 61enne

"Non era stato adeguatamente informato sui rischi dell'investimento"

L'agricoltore di Eboli aveva acquistato titoli tra il 2007 e il 2009, poi azzerati a seguito del crac dell'istituto.

La Banca popolare di Bari dovrà restituire gli 88mila euro che un agricoltore 61enne di Eboli aveva investito e poi perso a seguito del crac dell'istituto. A condannarla è stato il Tribunale di Bari: l'azionista aveva dichiarato di "non essere disposto ad accettare perdite" e di voler "proteggere nel tempo il capitale investito", ma la banca gli avrebbe proposto invece titoli a medio-alto rischio.

Fonte: La Repubblica - Link

Leggi anche:


Obblighi informativi della banca per il trading online.

Con il provvedimento in oggetto, la Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, si è espressa sugli obblighi informativi ricadenti sulla banca nel caso di operazioni concluse dalla clientela sul portale di trading online della banca stessa.

A partire dal 2006 un investitore privato ha acquistato e rivenduto vari titoli e derivati attraverso il servizio di investimento online della banca subendo notevoli perdite, nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro.

Parte degli ordini era avvenuta ancora quando l’intera materia era regolata dal Reg. Consob n. 11522/1998, stando al quale, a parere dell’investitore, ogni investimento doveva essere accompagnato da consulenza ed informativa specifica da parte dell’intermediario, mentre quelli a partire dal 02.11.2007, rientravano nelle previsioni del Reg. Consob n. 16190/2007, che escludeva la modalità di execution only per i prodotti finanziari complessi.

Nonostante l’odierno attore fosse un cliente privato con conoscenze basilari di borsa e finanza tutte le operazioni avvenivano con una quasi totale assenza di informazioni da parte del gestore del servizio, sottolineando come gli acquisti fossero stati effettuativi in autonomia dal cliente e respingeva ogni addebito.

La Corte d’Appello bolzanina ha sostanzialmente confermato che per quanto riguarda gli acquisti effettuati in data antecedente al novembre 2007, sotto il Reg. Consob n. 11522/1998, gli intermediari erano obbligati ad effettuare consulenze e fornire ogni informativa anche per gli acquisti effettuati in proprio in modalità telematica, non essendo prevista diversa procedura dalla normativa in vigore.

Tale differenziazione veniva, invece, introdotta dal Reg. n. 16190/2007, che introducendo la modalità di intermediazione finanziaria di execution only, la escludeva per prodotti complessi e, sostanzialmente, ad alto rischio, per i quali la banca risultava obbligata a fornire idonea informativa al risparmiatore.

Inoltre, evidenzia la Corte d’Appello, l’inizio della prescrizione del diritto al risarcimento del danno contrattuale va correlato nell’interesse del danneggiato a farlo valere.

Tale interesse non acquista consistenza nel momento in cui si verifica la violazione contrattuale in sé, vale a dire, nel caso per cui è processo, quando l’intermediario non ha adempiuto i suoi obblighi informativi.

Il diritto risarcitorio assume consistenza successivamente, quando l’inadempimento ha determinato una percepibile diminuzione della sfera patrimoniale dell’investitore.

Pertanto, la prestazione del servizio di investimento mediante trading online non può certo tradursi in un affievolimento nella tutela del cliente. Sicché, la banca, quando eroga il servizio in modalità telematica, per poter dimostrare di aver assolto pienamente gli obblighi di informativa deve aver adottato delle procedure che possano essere considerate come del tutto equivalenti a quelle a supporto di un servizio erogato in presenza del cliente.

Ad esimente dell’inosservanza degli obblighi legali prima che contrattuali a carico dell’intermediario non può, certo, valere il consenso reso dal risparmiatore con una dichiarazione liberatoria.

Infatti, sottolinea la Corte d’Appello, il patto o dichiarazione liberatoria, integrativo dei contratti di deposito titoli e di trading online, soggiace, da un lato alla disposizione dell’art. 1229 c.c. in tema di nullità dell’esclusione convenzionale della responsabilità del debitore per i casi di dolo, colpa grave o di violazione di norme di ordine pubblico.

Soggiace altresì a quella di cui all’art. 36 cod. consumo in tema di nullità (di protezione) delle clausole comportanti uno squilibrio a carico del consumatore, che si risolvano, in caso di inadempimento del professionista, in una limitazione nella proposizione delle azioni nei suoi confronti.

Inoltre, in base al secondo comma dell’art. 1229 c.c. sono nulle le clausole dirette ad esonerare il debitore dalla responsabilità contrattuale nel caso in cui il fatto proprio o dei propri ausiliari costituisca violazione di norme di ordine pubblico.

Sicché, in una tale evenienza, la clausola d’esonero è nulla anche nell’ipotesi di inadempimento per colpa lieve.

Detto questo, nella specie, si riscontra una doppia violazione contrattuale dell’intermediario. Essa è consistita, da un lato, nell’omessa somministrazione delle informazioni normativamente dovute al proprio cliente. Dall’altro, e anteriormente a questa violazione, l’intermediario ha inadempiuto il suo obbligo contrattuale di erogare i servizi di intermediazione finanziaria per il tramite di una piattaforma di trading online che gli consentisse di assolvere correttamente i propri obblighi informativi e comportamentali.

Fonte: DB - Link

Leggi anche:


Anatocismo nei piani di ammortamento standardizzati tradizionali

Rapporto scientifico AMASES – 2022/01

In un recente rapporto pubblicato dalla Commissione Anatocismo dell’Associazione per la Matematica Applicata alle Scienze Economiche e Sociali – AMASES, alcuni Autori propongono una personale lettura relativa alla tematica dell’anatocismo nei prestiti graduali, giungendo alla conclusione che gli ammortamenti comunemente utilizzati sul mercato del credito (Piano di Ammortamento Standardizzati Tradizionali – PAST) siano del tutto legittimi in relazione all’art.1283 cc.

Ad un’attenta lettura, però, le conclusioni a cui giungono gli Autori appaiono incoerenti con lo stesso sviluppo del lavoro: nonostante gli Autori riconoscano che esiste una classe di ammortamenti in regime composto (costituita dai prestiti elementari in regime composto) in cui la violazione dell’art.1283 cc è inequivocabile (cfr. pp.20-21 del rapporto), dall’altro concludono che, in generale, i PAST in regime composto sarebbero del tutto legittimi.

A riguardo, ricordando che qualsiasi prestito graduale può essere decomposto come somma di prestiti elementari, non si comprende come la violazione dell’art.1283 che gli Autori riscontrano in ognuno dei prestiti elementari in regime composto, possa poi scomparire nel prestito graduale in regime composto, ottenuto come somma di tali prestiti elementari.

Tra l’altro, la proprietà di decomposizione dei prestiti graduali in prestiti elementari è stata mostrata anche da alcuni degli stessi Autori del rapporto, in precedenti lavori.

Infine, bisogna osservare che gli Autori basano tutto il proprio sviluppo su alcune regole di progettazione dei piani di ammortamento PAST, individuando come prima regola “Reg.1” che la quota interessi sia ottenuta dal prodotto diretto tra il tasso periodale e il debito residuo: ebbene, tale regola vale solo in regime composto e assume una diversa formulazione in regime semplice.

Applicando la corretta regola per il calcolo della quota interessi in regime semplice, si dimostra che per i prestiti elementari in regime semplice, si preclude la possibilità di generare interessi su interessi.

Fonte: Openstat.it - Link

Leggi anche

"Rapporto scientifico 2022/01 AMASES" 

"Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare" (C. Mari, G. Aretusi).(C. Mari, G. Aretusi)"Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare" (C. Mari, G. Aretusi).

 

Leggi anche:


Banca d'Italia poteva rimuovere i vertici BPB.

Dalle carte dell’indagine sui vertici dell’istituto barese, emerge il comportamento contraddittorio di Banca d’Italia. Che spinge formalmente per un cambio dei vertici dell’istituto, ma che non adotta gli strumenti in suo possesso per rimuoverli. E che anche quando cambia la governance, continua a parlare solo coi vecchi padroni della banca.

“Ma voi avete poi verificato i cambi di questa figura?”. “Immagino di sì. Sì”. La domanda è quella posta dagli inquirenti pugliesi, che nel 2017 indagano sulla Popolare di Bari, a Salvatore Rossi, allora direttore generale della Banca d’Italia. Si tratta di informazioni sommarie rilasciate il 7 novembre di quell’anno: tre anni dopo il via libera all’acquisizione di Tercas e tre anni prima del crac definitivo. I pm vogliono capire se e come la banca pugliese, tra il 2013 e il 2014, sia riuscita a raggirare Palazzo Koch nascondendo la reale condizione dei conti, ma soprattutto mentendo sull’adeguamento della governance ai criteri indicati da Roma che appunto chiedeva l’inserimento di nuove figure nel management e più indipendendenza tra amministratori e controllori interni.

Un trucco, quest’ultimo, che consentirà a BpB di ottenere poi il via libera alla rimozione dei blocchi operativi, firmato proprio da Rossi come ricordano gli inquirenti, necessaria per l’acquisizione dell’istituto abruzzese. Operazione che avrà conseguenze disastrose sulla stabilità dell’istituto.

Ad esempio per il Pm, Rossi avrebbe dovuto accorgersi che la “figura”, cioè il Chief Risk Officer di BpB, Luca Sabetta, nominato appositamente per garantire maggior indipendenza sulle analisi delle operazioni di rischio, fosse rimasto in realtà appena due mesi in quella posizione e poi scalzato da uno dei manager fedeli all’entourage dei vertici bancari pugliesi, Antonio Zullo. Ma il direttore romano risponde con un “Immagino di sì”, come se Bankitalia dovesse in qualche modo arrendersi alle sole dichiarazioni formali, ufficiali, comunicate di volta in volta dai manager sotto ispezione. Un po’ come se, per riammettere uno studente in corso, fosse sufficiente la sua autocertificazione, il suo “prometto che ho studiato”.

I poteri di Palazzo Koch

Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha più volte lamentato la limitazione dei poteri di Palazzo Koch sulla possibilità di intervenire in casi simili e rimuovere vertici di istituti gestiti in modo spericolato. Questo potere infatti non esiste quando BpB ottiene il semaforo verde, nel 2014, ma sarà istituito l’anno successivo. Ciononostante, Roma non sembra poterlo esercitare nemmeno quando BpB continua a non cambiare la propria governance, come riportano gli inquirenti nel provvedimento che il 31 gennaio 2020 ha portato all’arresto di Marco Jacobini, fondatore di BpB, e di suo figlio Gianluca.

“La Banca d’Italia, difatti, a fronte di un’inerzia protrattasi per diversi anni, qualora non indotta in errore dalle plurime false comunicazioni trasmesse, avrebbe potuto ai sensi dell’art. 53-bis, comma 1, lettera e) del TUB, provvedere alla rimozione di uno o più esponenti aziendali qualora ‘la loro permanenza in carica fosse di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca’.”

Che la permanenza in carica degli Jacobini, dell’ad De Bustis e del management vicino alla famiglia pugliese fosse di pregiudizio lo dimostrano le stesse richieste di Bankitalia che domanda un cambio di gestione, anche dopo il 2014. Ma Roma ripete che “Nel caso della BPB non vi erano i presupposti per l'utilizzo di questo strumento” in un evidente cortocircuito tra realtà e rappresentazione.  A rigor di logica, però, se un’autorità agisse solo sulla base di quanto ufficialmente comunicato dal controllato, il suo ruolo di garante si svuoterebbe di senso. Quindi delle due l’una: o Bpb ha truccato in modo così sofisticato i conti e l’adeguamento ai criteri di governance da trarre in inganno gli ispettori di Bankitalia, o Bankitalia non ha poteri (ma, appunto, questa seconda ipotesi in realtà è da scartare) e competenze adatte a contenere contesti illegali.

I conti palesemente truccati e le comunicazioni alla vecchia governance

Che ci fosse estrema disinvoltura da parte di Pop Bari nel truccare i conti lo dichiarerà l’ex ad Vincenzo De Bustis ("Questo è un esempio di scuola di cattivo management irresponsabile esaltato") nel 2019, ma già negli anni precedenti a Bankitalia vengono rifilate le cosiddette “slide piaggeria” con numeri palesemente falsificati, riscontrabili – secondo le intercettazioni tra gli ex responsabili della contabilità – facendo semplicemente “i conti”.

Inoltre, che Luca Sabetta fosse stato fatto fuori in tempi record e che quindi la sua nomina fosse fittizia, era noto a Palazzo Koch. Questo sia perché i controllori romani incontravano Zullo nel periodo in cui avrebbe dovuto essere Sabetta il CRO,  sia perché Zullo non aveva mai cambiato posizione lavorativa sul proprio profilo LinkedIn. E’ chiaro: non è un social network a poter sostituire una comunicazione ufficiale, ma se l’informazione è pubblica, lo è per chiunque e dovrebbe essere sufficiente a destare sospetti negli ispettori e nei direttori di Bankitalia.

Infine, lo ricorda il Pm al direttore Rossi nella già citata raccolta di informazioni avvenuta nel 2017, Palazzo Koch continua a inviare in quel periodo comunicazioni ufficiali alla vecchia dirigenza e non alla nuova composta da figure come Giorgio Papa (amministratore delegato della banca dal 1 maggio 2015 alla fine del 2018). “Tanto che è vero che le interlocuzioni che voi fate – spiega l’inquirente a Rossi –  sono con gli stessi soggetti, infatti voi inviate una lettera, che non inviate al Presidente del Consiglio di Amministrazione, cioè a PAPA, all'amministratore, ma la inviate al presidente della Famiglia (Jacobini ndr)”.

Perché infatti continuare a considerare la famiglia Jacobini come reale reggente della gestione bancaria se è proprio Bankitalia a non volere più gli Jacobini come amministratori e presidenti? È come se formalmente Roma spingesse per un cambio di governance ma poi sconfessasse nei fatti questa direzione legittimando chi non dovrebbe più ricoprire certi ruoli. Dalle carte, insomma, emerge uno scenario in cui le autorità operino su un piano di totale impotenza.

Eppure gli strumenti e le misure che si possono adottare sono gli stessi che nel 2011 avevano permesso al precedente governatore di Bankitalia, Mario Draghi, di considerare non sufficienti le informazioni e gli sforzi di adeguamento fatti da Bari a seguito delle prime ispezioni (soprattutto quelle del 2009). Lo dimostra una nota riservata interna a Palazzo Koch del 26 luglio 2011 e inviata dagli ispettori ai vertici dell’autorità bancaria. “A seguito degli ultimi accertamenti ispettivi, conclusisi con un giudizio parzialmente sfavorevole e che avevano evidenziato diffusi elementi di criticità, con lettera contestuale dello scorso dicembre sono stati richiesti alla Banca Popolare di Bari importanti interventi in tutti i principali ambiti dell’operatività. Gli organi aziendali, tuttavia, non hanno definito le necessarie misure correttive e in taluni casi hanno assunto decisioni che vanno nella direzione opposta a quella tracciata dalla Vigilanza.”

E’ questo il famoso passaggio che poi porterà Draghi a firmare il giorno stesso il provvedimento di divieto d’espansione per BpB. Non solo. I magistrati ricordano anche che “dette prescrizioni sarebbero state riconsiderate dallo stesso Direttorio – per espressa indicazioni rappresentata nella medesima nota della Vigilanza –  solo dopo una attenta verifica sull’efficacia delle iniziative prefigurate dall’azienda e sarebbero state rimosse solo a fronte della effettiva eliminazione dei gravi profili di criticità che caratterizzavano la situazione aziendale”.

Perché fossero effettivi, i cambiamenti di BpB dovevano essere a prova di bomba. Fa quindi riflettere che solo pochi anni dopo e solo sulla base di comunicazioni ufficiali Palazzo Koch muti rotta e consideri sufficienti quelle stesse rassicurazioni che invece non avevano funzionato nel 2011. Se Roma non poteva rimuovere i vertici, si chiedono anche i risparmiatori e ci chiediamo anche noi, poteva almeno continuare a bloccare operazioni spericolate. Perché non l’ha fatto, è la domanda delle domande.

Fonte: Fanpage - Link

 

Leggi anche:


Logo &Magazine

DIRITTO ECONOMIA E CULTURA
Reg. Trib. Roma n. 144 / 05.05.2011
00186 Roma - Via del Grottino 13

logo_ansa_&magazine

Logo &Consulting

EDITRICE &CONSULTING scarl
REA: RM1297242 - IVA: 03771930710
00186 Roma - Via del Grottino 13

Perizie e Consulenze tecniche in ambito bancario e finanziario di &Consulting

logo bancheefinanza menu

WEBSITE POLICIES

Legal - Privacy - Cookie