ANNO XII - &MAGAZINE - 

Palio di San Timoteo: banchetto federiciano a Termoli.

L’evento ideato dalla Pro Loco di Termoli e dall’ associazione Ordo Cavalieri Termole, nelle scorse edizioni ha registrato nel Borgo Medievale, la presenza di migliaia di persone in un solo giorno, l’evento viene proposto a Termoli il 1° week end del mese di Maggio;

Spettacolo nello spettacolo, con un week end ricco di Giochi medievali, degustazioni, corteo. Sbandieratori, musici e incontri a tema tra le mura del Borgo.
Mangiafuoco, giullari, frati, armigeri, e nobili, ti faranno rivivere per una giornata il medioevo, vivendo tra la fantasia e la storia di Termoli.

Tra Leggenda e Storia.

Drammatica è la storia delle reliquie di San Timoteo; nel 365, Artemio, prefetto d’Egitto e plenipotenziario dell’imperatore Costanzo nelle persecuzioni ariane contro cattolici e pagani, le rapì agli Efesini per arricchire insieme a quelle dei SS Andrea e Luca, la basilica degli Apostoli di Costantinopoli costruita dallo stesso Costanzo. In questa basilica che doveva essere riconosciuta come un mausoleo per l’imperatori bizantini le reliquie riposarono per molti anni.; ma quando le reliquie dei SS Andrea e Luca vennero portate a Milano verso la fine del IV secolo, secondo il martirologio geronimiano di Costantinopoli, anche quelle di San Timoteo seguirono la medesima sorte, riposando nella basilica dei SS apostoli. Costantinopoli però all’inizio del sesto secolo reclamò le reliquie degli apostoli e Timoteo seguì San Luca e Sant’Andrea. Nel 536 Giustiniano abbellì la basilica rimasta danneggiata da un maestoso incendio che risparmiò le reliquie dei tre santi che erano poste in mezzo alla chiesa sotto la Mensa Mystica tutta d’argento massiccio.


Analfabeti diplomati.

Chi ha superato una certa età, ricorderà sicuramente il maestro Manzi. Negli anni ’60, con il suo programma “Non è mai troppo tardi”, contribuì al processo di alfabetizzazione di milioni di Italiani.

Nell’immediato dopoguerra, infatti, un ottavo della popolazione italiana, circa sei milioni di persone, non sapeva né leggere né scrivere.

E' innegabile che l'alfabetizzazione in Italia sia andata di pari passo con la diffusione della scuola. Le tappe fondamentali di questo lungo percorso iniziano con l’introduzione dell’obbligo a due anni di scuola nel 1859, poi diventati tre nel 1877, con la legge Coppino e cinque nel 1904 con la legge Orlando. Nel 1923 Giovanni Gentile porta l'obbligo scolastico ai 14 anni.

Nell’Italia repubblicana l'obbligo scolastico gratuito di 8 anni (elementari e medie) entra nella Costituzione con l’art. 34. Nel 1963, infine, la riforma della scuola media unica porta al crollo del tasso di analfabetismo e riduce sostanzialmente la percentuale di persone in possesso del solo titolo di scuola elementare.

Il sistema scolastico è stato poi negli anni oggetto di numerose riforme: dai decreti delegati (1974) alle riforme Berlinguer e poi Moratti. Negli ultimi dieci anni è stato innalzata l’età dell’obbligo a 16 anni. Nel 2008, data della riforma ad opera del ministro Mariastella Gelmini, l’obbligo è mantenuto a 16 anni ma gli ultimi due (corrispondenti al biennio di scuola secondaria superiore) possono essere sostituiti da un percorso formativo professionale. Infine, la cosiddetta Buona Scuola, durante il governo Renzi e proseguita dal ministro Valeria Fedeli del governo Gentiloni, che si propone la personalizzazione dei percorsi formativi e l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria.

Qual è la situazione, quindi, a seguito del massiccio e complesso progetto di scolarizzazione e di modernizzazione dell’istituzione scolastica dall’Unità d’Italia ad oggi, che ha visto innegabilmente crescere gli alfabetizzati dal 31,2% nel 1861 al 98,6% del 2001?

Da qualche anno ormai emerge un dato molto preoccupante per il nostro Paese: il cosiddetto analfabetismo di ritorno. Espressione –come definito dalla Treccani- riferita a quella quota di alfabetizzati che, senza l’esercitazione delle competenze alfanumeriche, regredisce perdendo la capacità di utilizzare il linguaggio scritto per formulare e comprendere messaggi.

Il Prof. Tullio De Mauro, intellettuale linguista, scomparso di recente, aveva più volte denunciato, negli ultimi anni della sua vita, il preoccupante fenomeno dell’analfabetismo funzionale  e di ritorno, che, interessando la maggioranza della popolazione italiana, ha inevitabili effetti sulla vita socio politica del Paese.

Non staremo qui ad analizzare nel dettaglio le cause di questo preoccupante fenomeno, ma il progressivo abbassamento del livello culturale, anche tra i diplomati e i laureati, è un dato indiscusso, cresciuto in senso inverso alla diffusione di massa della scolarizzazione. Un frainteso senso di egualitarismo sommato alla mancanza di investimenti qualitativi sull’istruzione pubblica ha portato, negli anni, ad un aumento dei titoli di studio inversamente proporzionale alla diminuzione di competenze.

Il sacrosanto intento “istruzione per tutti” si è ridotto al dare un “pezzo di carta” a tutti. Non si sarebbe dovuto abbassare il livello culturale generale per arrivare a chiunque, bensì dare la possibilità a chiunque di raggiungere un elevato livello culturale. Questo è certamente un fallimento della pubblica istruzione.

In questo triste contesto, si sta registrando un fenomeno interessante,  ancora scarsamente diffuso in Italia, ma in continua crescita: l’home schooling o educazione parentale.

In pratica, i genitori possono utilizzare la facoltà di non mandare i figli alla scuola dell’obbligo e decidere di occuparsi personalmente dell’attività educativa e di istruzione dei propri figli .  L’home schooling , possibile legalmente anche in Italia (in molti paesi è già assai sviluppato), si valorizza l’apprendimento personalizzato, con lo scopo di suscitare motivazione ed entusiasmo. Libertà, sperimentazione diretta, felicità di apprendere, sono i concetti su cui si basa questo metodo alternativo alla scuola dell’obbligo.

Da giugno 2018, la legge prevede che alunni e studenti che si avvalgono dell’istruzione parentale “sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione” (art. 23 d. lgs. 13 aprile 2017, n. 62). In tal modo viene formalizzata la carriera scolastica degli homeschoolers, che dovrà rispettare le linee guida nazionali del MIUR, senza però obbligo di seguire il programma utilizzato nella scuola dove si tiene l’esame.

Sintetizzando: obiettivo bambini istruiti, ma descolarizzati.

Non possiamo sapere quanto crescerà l’homeschooling in Italia. Sicuramente è un fenomeno da seguire con attenzione, utile anche a riflettere sulla missione nonché sulla organizzazione della scuola tradizionale.

 

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La prima foto di un "Buco Nero".

L’Event Horizon Telescope, collaborazione internazionale che vede la partecipazione di centri di ricerca in tutto il mondo, svela oggi la foto del secolo.

Due ricercatrici dell’Inaf, Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl, sono tra i protagonisti della rivoluzionaria osservazione del gigantesco buco nero nel cuore della galassia Messier 87, come parte del progetto BlackHoleCam. Un altro italiano, Ciriaco Goddi, è segretario del consiglio scientifico del consorzio Eht e responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam

L’Event Horizon Telescope (Eht) è un gruppo di otto radiotelescopi da terra che opera su scala planetaria, nato grazie a una collaborazione internazionale e progettato con lo scopo di catturare le immagini di un buco nero. Oggi, in una serie di conferenze stampa coordinate in contemporanea in tutto il mondo, i ricercatori dell'Eht annunciano il successo del progetto, svelando la prima prova visiva diretta mai ottenuta di un buco nero supermassiccio e della sua ombra.

Questo incredibile risultato viene presentato in una serie di sei articoli pubblicati in un numero speciale di The Astrophysical Journal Letters. L'immagine rivela il buco nero al centro di Messier 87, un'enorme galassia situata nel vicino ammasso della Vergine. Questo buco nero dista da noi 55 milioni di anni luce e ha una massa pari a 6,5 miliardi e mezzo di volte quella del Sole.

L'Eht collega gli otto radiotelescopi dislocati in diverse parti del pianeta dando vita a un telescopio virtuale di dimensioni pari a quelle della Terra, uno strumento con una sensibilità e una risoluzione senza precedenti. L'Eht è il risultato di anni di collaborazione internazionale e offre agli scienziati un nuovo modo di studiare gli oggetti più estremi dell'universo previsti dalla teoria della relatività generale di Einstein, proprio nell'anno del centenario dell'esperimento storico che per primo ha confermato questa teoria.

«Quello che stiamo facendo è dare all'umanità la possibilità di vedere per la prima volta un buco nero – una sorta di ‘uscita a senso unico’ dal nostro universo», spiega il direttore del progetto Eht Sheperd Doeleman del Center for Astrophysics della Harvard University. «Questa è una pietra miliare nell'astronomia, un'impresa scientifica senza precedenti compiuta da un team di oltre 200 ricercatori».

I buchi neri sono oggetti estremamente compatti, nei quali una quantità incredibile di massa è compressa all'interno di una piccola regione. La presenza di questi oggetti influenza l’ambiente che li circonda in modo estremo, distorcendo lo spazio-tempo e surriscaldando qualsiasi materiale intorno.

«Se immerso in una regione luminosa, come un disco di gas incandescente, ci aspettiamo che un buco nero crei una regione scura simile a un'ombra, un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein che non abbiamo mai potuto osservare direttamente prima», aggiunge il presidente dell'Eht Science Council Heino Falcke della Radboud University, nei Paesi Bassi. «Quest'ombra, causata dalla curvatura gravitazionale e dal fatto che la luce viene trattenuta dall'orizzonte degli eventi, rivela molto sulla natura di questi affascinanti oggetti e ci ha permesso di misurare l'enorme massa del buco nero di M87».

Vari metodi di calibrazione e di imaging hanno rivelato una struttura ad anello con una regionecentrale scura - l'ombra del buco nero – risultato che ritorna nelle molteplici osservazioni indipendenti fatte dall’Eht.

Le osservazioni dell’Eht sono state possibili grazie alla tecnica nota come Very-Long-Baseline  Interferometry (Vlbi) che sincronizza le strutture dei telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per andare a creare un enorme telescopio di dimensioni pari a quelle della Terra in grado di osservare ad una lunghezza d'onda di 1,3 mm. La tecnica Vlbi permette all'Eht di raggiungere una risoluzione angolare di 20 micro secondi d’arco. Un livello di dettaglio tale da permetterci di leggere una pagina di giornale a New York comodamente da un caffè sul marciapiede di Parigi.

I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono stati Alma, Apex, il telescopio Iram da 30 metri, il telescopio James Clerk Maxwell, il telescopio Alfonso Serrano, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. L’enorme quantità di dati grezzi – misurabile in petabyte, ovvero milioni di gigabyte – ottenuta dai telescopi è stata poi ricombinata da supercomputer altamente specializzati ospitati dal Max Planck Institute for Radio Astronomy e dal Mit Haystack Observatory.

La costruzione dell'Eht e le osservazioni annunciate oggi rappresentano il culmine di decenni di lavoro osservativo, tecnico e teorico. Un esempio di lavoro di squadra globale che ha richiesto una stretta collaborazione da parte di ricercatori di tutto il mondo. Tredici istituzioni partner hanno lavorato insieme per creare l'Eht, utilizzando sia le infrastrutture preesistenti che il supporto di diverse agenzie. I principali finanziamenti sono stati forniti dalla US National Science Foundation (Nsf), dal Consiglio europeo della ricerca dell'UE (Erc) e da agenzie di finanziamento in Asia orientale.

«L'Eso ha l'onore di aver contribuito in modo significativo a questo risultato attraverso la sua leadership europea e il suo ruolo chiave in due dei telescopi componenti di Eht, che si trovano in Cile – Alma e Apex», commenta il direttore generale dell'Eso Xavier Barcons. «Alma è la struttura più sensibile dell'Eht e le sue 66 antenne ad alta precisione sono state fondamentali per questo successo», conclude Ciriaco Goddi, segretario del consiglio scientifico del  consorzio Eht, che si è occupato della calibrazione Alma per l’Eht.

L’Inaf può vantare un importante coinvolgimento nella rivoluzionaria osservazione come parte del progetto europeo BlackHoleCam (Bhc), di cui lo stesso Goddi è il project scientist. Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl dell’Istituto nazionale di astrofisica (all’Ira di Bologna) sono due ricercatrici del nodo italiano dell’Alma Regional Centre, uno dei sette che compongono la rete europea che fornisce supporto tecnico-scientifico agli utenti di Alma, e che è ospitato proprio presso la sede dell’Inaf di Bologna. Nel 2018 entrambe sono entrate a far parte del progetto Bhc finanziato dall’Erccome partner del progetto EHT, e fanno a tutti gli effetti parte dell’Event Horizon Telescope Consortium, in cui sono membri dei gruppi di lavoro che si occupano di calibrazione e imaging.

«La calibrazione dei dati Eht è stata una grande sfida: i segnali astronomici sono deboli nella banda millimetrica, e distorti per effetto dell'atmosfera, che varia molto velocemente a queste frequenze», sottolinea Liuzzo, che insieme a Rygl ha partecipato allo sviluppo di uno dei tre software usati per la calibrazione dei dati Eht.

Pur operando come un unico strumento che abbraccia il globo l'Eht, infatti, rimane una miscela di stazioni con design e operazioni diverse. Questo ed altri fattori, insieme alle sfide associate alla Vlbi, hanno dato impulso allo sviluppo di tecniche specializzate di elaborazione e calibrazione. «Tre diversi gruppi di ricerca, ognuno dei quali ha utilizzato un diverso software di calibrazione, hanno convalidato in modo incrociato questi dati e hanno trovato risultati coerenti», specifica Rygl, aggiungendo che «è estremamente gratificante vedere come i dati calibrati possano essere tradotti in fisica dei buchi neri».

«Il progetto Black Hole Cam è partito nel 2014 con l’obiettivo di misurare, comprendere e ‘vedere’ i buchi neri e fare test sulle principali previsioni della teoria della relatività generale di Einstein», aggiunge Ciriaco Goddi. «Nel 2016 il progetto è entrato a far parte, insieme ad altri partner internazionali, dell’Event Horizon Telescope Consortium visto il comune obiettivo: ottenere la prima immagine di un buco nero».

«Abbiamo raggiunto un risultato che solo una generazione fa sarebbe stato ritenuto impossibile», conclude Doeleman. «I progressi tecnologici e il completamento dei nuovi radiotelescopi nell'ultimo decennio hanno permesso al nostro team di assemblare questo nuovo strumento, progettato per vedere l'invisibile».

Un risultato incredibile, che prometta di essere un punto non di arrivo ma di partenza nella

strada per la comprensione del nostro universo.

 


Red land, un grido nel silenzio.

Red Land è un film che racconta un fatto vero, la storia di Norma Cossetto, allieva all’università di Padova del latinista Concetto Marchesi, un marxista, membro del PCI, che dopo la guerra avrebbe promosso per lei il riconoscimento della Laurea per la quale stava preparando la tesi.

Proprio per preparare la tesi sull’Istria, caratterizzata dalla terra rossa (da qui il titolo bipolare di Red Land- Rosso istria), era tornata a casa a Visinada d’Istria.

Siamo nel 1943, il fascismo è caduto, la confusione regna sovrana, soprattutto nelle zone di confine, dove il vuoto di potere improvviso favorisce una serie di reazioni revansciste da parte degli slavi che fino allora avevano mal sopportato la politica antislava del fascismo e sulle quali s’innestano, nei confronti di certe persone, da una parte livori e sentimenti di vendetta del tutto privati e dall’altra, più in generale, l’opera dei partigiani di Tito che ben sanno cogliere il momento per sfruttare quei sentimenti con i quali dare corpo e partecipazione alla lotta popolare.

Norma Cossetto era figlia del locale podestà, Giuseppe Cossetto, dirigente del Partito fascista, in quel momento a Trieste, per cui la sua casa e le persone, la moglie e figli che ci abitavano, viene presa di mira. Norma Cossetto viene convocata dal comando partigiano che ha sede nella ex caserma dei carabinieri e al suo rifiuto di aderire al movimento partigiano, come le era stato chiesto, viene arrestata. Alcuni giorni dopo viene trasferita altrove e qui violentata da ben 17 partigiani, che provvederanno anche ad amputarle i seni e poi a gettarla ancora viva, insieme ad altre persone, nella foiba di Villa Surani (quando il 10 dicembre 1943 verranno tirati fuori i corpi delle vittime, in quello di Norma Cossetto sarà trovato, nella vagina, anche un pezzo di legno). Questo comunque il fatto nella sua brutale essenzialità.

Il film lo racconta con la delicatezza che una violenza così estrema è difficile da rendere, avvolgendolo nel prologo di un’anziana istriana, ai nostri giorni, verosimilmente la sorella di Norma Cossetto, interpretata da Geraldine Chaplin, che dà avvio alla memoria – alla storia - nel tempo di quegli orrori, di quand’era bambina. La scena poi si allarga a Norma, innamorata di un coetaneo a Padova, e quindi via via a seguire la vicenda, per la quale solo in parte nel film viene coinvolto il paese (inutile il tentativo, forse troppo intellettuale e generico, del professore Ambrosin interpretato da Franco Nero)  fino ad arrivare al nodo cruciale della storia, e cioè al tragico destino di una ragazza innocente, vittima di gente che, approfittando dello stato di guerra, dà sfogo ai propri più bassi istinti bestiali con azioni che niente e nessuno può  neppure minimamente giustificare come azione di guerra. Tanto meno se a compierle si ergono rappresentanti di un movimento portatore - a parole, negli slogan, nei confronti del nemico a cui si oppongono - di idee che intendono esprimere più alti valori di civiltà, di umanesimo, di fratellanza tra i popoli, ai quali, con il loro comportamento, si pongono agli antipodi.

E’ una riflessione che va fatta, naturalmente, a prescindere dal film, al quale va il merito di aver avuto il coraggio di affrontare una pagina di storia italiana che, nonostante siano passati 75 anni, si preferisce ancora rimuovere quasi per lesa maestà, visto che a commettere quelle nefandezze sono stati degli antifascisti.

Dico a prescindere dal film, anche perché, sul piano della realizzazione, l’opera presenta diversi limiti. A parte una certa lentezza, il limite maggiore è quello di non aver saputo cogliere la complessità del momento, il senso di smarrimento che coinvolgeva e sconvolgeva la popolazione tutta, mentre si è voluto risolvere esclusivamente con la paura dei soli partigiani titini e del revanscismo slavo quando nella realtà era diffusa anche la paura per le rappresaglie dei tedeschi e dei repubblichini. In questo senso bastava anche una rilettura di Fulvio Tomizza, in particolare de “La quinta stagione” per ritrovare l’angosciante situazione di quel periodo, lo stesso 1943, che lo scrittore istriano ben descrive, quando dopo aver ricordato i 30 uomini gettati nella foiba di Pisino (“Si diceva che metà ne avessero ammazzati e metà li avessero lasciati vivi; avevano poi legato insieme col fildiferro uno morto e uno vivo e li avevano spinti giù”) passa a ricordare l’eccidio di Villanova d’Istria dove i tedeschi fucilarono 22 giovani sotto i 30 anni (“Cadevano l'uno sull'altro come sbalzi di frumento (…) Stefano pensò che per seppellirli sarebbero dovuti andare in tutte le parrocchie dell'Istria, anche nelle più lontane, per prendere tutti i preti fino a metterne insieme ventidue.” )

Nel film invece si dà una lettura manichea, con i cattivi tutti da una parte e i buoni dall’altra, con i tedeschi quasi assenti dalla scena se non per un passaggio dove, tra l’altro, a morire è una “cattiva”, mentre gli ufficiali e soldati italiani vengono rappresentati, poco più, poco meno, come dei cani sciolti dopo essere stati proni ai tedeschi.

E’ però anche vero che non era neppure facile per un regista giovane ed esordiente come l’italoargentino Maximiliano Hernandez Bruno restituire l’epoca, stare attento al complesso contorno storico e sociale, come è riuscito, ad esempio, un Milčo Mančevski che in “Prima della pioggia” ha saputo restituire la complessa, impalpabile atmosfera che regnava alla vigilia della guerra interetnica nella ex Jugoslavia (è vero, però, anche, che il macedone Mančevski, al contrario di Maximiliano Hernandez Bruno, quel periodo l’ha vissuto di persona, così come per tornare a Tomizza, lo stesso scrittore ha vissuto il suo ).

Ma, visto, appunto, il poco o niente che ancora oggi, a settant’anni e passa dalla fine della guerra, circola in Italia riguardo a determinate pagine di storia italiana che non giova a nessuno cancellare, credo che “Red Land” vada preso come un grido nel silenzio. E che, come tale, vada accolto, sempre più sperando, naturalmente, in acuti migliori.

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Natura e avventura sull'Orinoco.

Uno splendido libro di viaggio, il racconto avventuroso di una troupe cinematografica che s’inoltra lungo il corso del secondo più grande e maestoso fiume del Sudamerica, al confine tra Venezuela e Bolivia, per arrivare nel cuore della foresta amazzonica per riprendere scene di vita e costumi delle tribù Yanomami.

E’ questo “Il canto dell’Orinoco” del triestino Leandro Lucchetti, edito da Robin.

E’ chiaramente un racconto autobiografico, anche se, in questo caso, il protagonista io narrante si chiama, con una soluzione per altro molto trasparente, Loris Lamberti, il quale, come lo stesso Leandro Lucchetti è documentarista, regista di film di insuccesso, aiuto regista di western spaghetti e così via, cioè un professionista della macchina da presa, con un passato esistenziale e un passato e presente famigliare che ricalca il nostro autore. Il quale, per altro, conferma qui le grandi doti di narratore già espresse, per quello che chi scrive ha potuto leggere, nel romanzo “Bora scura” che ben inquadra e orchestra le vicende di guerra e dopoguerra sul nostro confine orientale.

Ma là dove, come in “Bora scura” c’era una storia, una trama, qui c’è il diario, seppur non giornalmente datato, di una spedizione. Con Loris ci sono l’operatore Vanio, Lucio, detto Caracas, per avere la pelle ambrata dei Caraqueñi, cioè degli  di Caracas, Marlow, la guida, con Abelino, del posto, e il motorista Marcelo “quello che durante la navigazione regge il timone del fuoribordo del bongo”, come si chiama il tipo di imbarcazione sulla quale si trovano per raggiungere la regione in cui vivono le tribù Yanomami.

Una regione molto tutelata dallo stato del Venezuela, nella quale per entrare servono permessi speciali, ma con Marlow, cugino dell’ufficiale della polizia fluviale che controlla i passaggi, sarà tutto più semplice: un permesso provvisorio in cambio di bottiglie di whisky e di alcune stecche di sigarette non si nega mai agli amici di un parente. Ma il racconto è punteggiato da scene di vita lungo il fiume, in particolare serate brave, tra alcol, droghe, donne seminude che si accompagnano volentieri nell’allegria,  seducenti come tutto nelle foresta che si rivela piena di vita, di piante e animali di ogni genere, alcuni mitici come l’anaconda, altri infidi e pericolosi come i serpenti corallo, altri ancora fastidiosi come gli insetti che s’infiltrano dappertutto.

Le descrizioni di Lucchetti sono superbe, scritte, se così si può dire, attraverso gli occhi del regista, che conosce benissimo l’uso delle parole tanto da riuscire con esse a formare le immagini, sia dei paesaggi che degli ambienti che dei personaggi.

L’abilità descrittiva di Lucchetti permette al lettore davvero di seguire il viaggio lungo l’Orinoco non solo sul piano delle immagini che la prosa trasmette, ma anche attraverso le emozioni che l’autore vive, i sentimenti, i pensieri, nel pulsare del racconto. Fino alla sorpresa finale, quella che trasforma il libro da libro di viaggio, degno di un Chatwin o di un Fermor, in un romanzo: l’invenzione del ritrovamento di una suora scomparsa trent’anni prima nella foresta amazzonica, diventata membro a tutti gli effetti di una tribù Yanomami, con tanto di mariti e figli, non più coperta dalla tonaca ma nuda e, nonostante l’età, 62 anni, la stessa età dell’io narrante, ancora vigorosa e bella, carica di una sensualità che naturalmente anche il lettore percepisce. Ma la sorpresa vera è che la suora è stata compagna di scuola di Loris e la sua prima ragazza, quella che, ancora ragazzi di liceo, l’ha introdotto ai segreti e ai piaceri del sesso.

Lucchetti qui ha pescato nella sua memoria una figura della sua adolescenza, alla quale dà il nome di Erika, per affidarle – sulla falsariga della scoperta di un’altra suora nella foresta amazzonica – un ruolo di guida alle usanze, alle tradizioni, ai segni e ai misteri degli Yanomami. Un ruolo che, nonostante si riveli confuso con i loro ricordi, per altro molto vivi, belli e drammatici e ben delineati, esaltati dalla rivelazione di un orrido segreto, avrebbe potuto correre il rischio di apparire ugualmente un po’ troppo didattico e in contrasto con le esplosioni descrittive ed emozionali della prima, lunga parte. Ruolo al quale Lucchetti, con un escamotage narrativo seppur in parte celatamente anche questo didattico – il tragico omicidio di Erika del proprio figlio imposto dalla tribù – ha saputo trasformare in pathos.

Su questo incontro poi Lucchetti giocherà nel finale quando il protagonista tornerà a Trieste, città dalla quale è partito, porterà alla vecchia madre di Erika, una ex nazista macchiatasi col marito di orrendi delitti, la notizia del suo ritrovamento della figlia facendosi però latore, anche, della sua vendetta.

 

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