ANNO XII - &MAGAZINE - 

Criptovalute: investimenti raddoppiati in Italia

Criptovalute: investimenti raddoppiati in Italia, tra rischio e attrazione per l'innovazione

Il numero di italiani che investe in criptovalute è più che raddoppiato tra il 2022 e il 2024, passando dall'8% al 18% del totale degli investitori. Questo dato emerge dal nono Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane pubblicato dalla Consob, che ha coinvolto un campione rappresentativo di oltre 2.000 investitori. Il fenomeno riflette un cambiamento profondo nel comportamento dei risparmiatori italiani, che sempre più spesso decidono di includere nel proprio portafoglio asset digitali come le criptovalute, malgrado i rischi e l’alta volatilità.

Perché si investe nelle criptovalute nonostante i rischi?

Un primo elemento da considerare è il fascino delle alte potenzialità di guadagno. Gli investitori vedono nelle criptovalute l’opportunità di ottenere profitti in un contesto di tassi di interesse bassi e mercati finanziari tradizionali stagnanti. Le criptovalute come Bitcoin o Ethereum, nonostante le loro oscillazioni, hanno registrato picchi di crescita impressionanti nel corso degli anni, attirando sia investitori esperti che neofiti. Il concetto di “oro digitale” rende l'idea: molti vedono questi asset come un rifugio sicuro contro l'inflazione o la svalutazione della valuta, una visione che trova eco nel comportamento di chi decide di diversificare il proprio portafoglio in cerca di alternative innovative.

L'innovazione tecnologica è un altro fattore chiave. Le criptovalute si basano su tecnologie emergenti come la blockchain, che non solo promette maggiore trasparenza e decentralizzazione rispetto al sistema finanziario tradizionale, ma sta anche trovando applicazioni sempre più diffuse in settori come la finanza decentralizzata (DeFi), i contratti intelligenti e l'arte digitale (NFT). Questo contesto di innovazione continua rende le criptovalute attraenti per chi cerca di stare al passo con le nuove frontiere tecnologiche.

Il profilo dell’investitore italiano in criptovalute

L’investitore medio che decide di puntare sulle criptovalute sembra essere più giovane e con una maggiore propensione al rischio rispetto a chi investe in strumenti tradizionali. Secondo i dati di Bankitalia, nel primo trimestre del 2024 oltre 1,3 milioni di italiani detenevano cripto-attività attraverso servizi di portafoglio digitale (Vasp) registrati nel Paese. Questo rappresenta un controvalore complessivo di 2,7 miliardi di euro, con un aumento dell’85% rispetto al quarto trimestre del 2023.

Questi numeri non solo confermano la crescita esponenziale dell’interesse verso le criptovalute, ma mostrano come sempre più risparmiatori stiano esplorando nuove strategie di investimento. Tuttavia, è importante notare che spesso coloro che si avvicinano a questo tipo di asset non sono completamente consapevoli dei rischi associati. L'illusione di rendimenti elevati in tempi brevi può spingere molte persone a investire somme significative senza una piena comprensione della volatilità del mercato.

L'attrazione per l’indipendenza finanziaria e l'antagonismo verso le banche tradizionali

Un altro motivo sociologico dietro la crescita degli investimenti in criptovalute è l'attrazione per l'indipendenza finanziaria. La filosofia che circonda Bitcoin e altre criptovalute, basata sulla decentralizzazione e sull'assenza di un controllo centralizzato da parte di governi e banche centrali, attrae particolarmente coloro che vogliono sfuggire ai sistemi tradizionali, percepiti come troppo controllati o ingiusti. In questo senso, le criptovalute sono spesso viste come una forma di ribellione contro il sistema bancario tradizionale, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008 che ha scosso la fiducia nei mercati regolamentati.

L’evoluzione del concetto di indipendenza finanziaria si riflette anche nella crescente popolarità delle piattaforme decentralizzate (DeFi), che permettono agli utenti di prendere prestiti, investire o effettuare pagamenti senza l’intermediazione di istituti finanziari. Questo crea una sensazione di controllo diretto sui propri fondi, un aspetto che affascina particolarmente le generazioni più giovani, sempre più attente alle tecnologie disruptive.

I rischi non frenano gli investimenti: un gioco di bilanciamento

Nonostante i numerosi rischi associati agli investimenti in criptovalute, come la volatilità estrema e la mancanza di una regolamentazione chiara, molti risparmiatori sembrano disposti ad accettare queste incognite in cambio delle potenziali ricompense. Tuttavia, è essenziale ricordare che le criptovalute sono estremamente volatili: il loro valore può variare notevolmente in breve tempo, rendendo possibili sia grandi guadagni che perdite significative.

Gli esperti avvertono che, sebbene le criptovalute possano essere una parte interessante di un portafoglio diversificato, non dovrebbero mai costituirne una parte eccessiva. Investire in criptovalute richiede una conoscenza approfondita del mercato e una tolleranza al rischio molto elevata. Le frodi e gli attacchi hacker sono altri fattori di rischio che richiedono attenzione, specialmente se si considera che alcune piattaforme di scambio non sono regolamentate o sono di dubbia affidabilità.

Conclusioni

La rapida crescita degli investimenti in criptovalute in Italia riflette un cambiamento sociologico profondo nel modo in cui i risparmiatori vedono il futuro della finanza. L'attrazione verso l'innovazione, il desiderio di indipendenza finanziaria e la ricerca di rendimenti elevati stanno spingendo sempre più italiani a esplorare il mondo degli asset digitali. Tuttavia, è fondamentale mantenere un equilibrio tra l'entusiasmo per le nuove tecnologie e una corretta gestione del rischio. Le criptovalute offrono opportunità straordinarie, ma è essenziale affrontarle con consapevolezza e cautela.


Truffa Ponzi: 2139 Exchange oscurato da Consob, sottratti milioni agli investitori

La Consob ha disposto il blocco di 2139 Exchange, una piattaforma di trading online che, secondo le ricostruzioni, ha sottratto oltre 27 milioni di dollari agli investitori attraverso un classico schema Ponzi. L'exchange, che operava attraverso diversi siti web, ha attratto centinaia di migliaia di utenti in tutto il mondo, inclusi decine di migliaia solo in Italia.

L'azione della Consob, comunicata il 25 settembre, rientra nel quadro delle misure atte a proteggere i risparmiatori italiani da frodi finanziarie. L’ente di vigilanza ha oscurato non solo 2139 Exchange, ma anche altre piattaforme fraudolente simili, tutte non autorizzate a operare nel mercato italiano. Tra queste, sono stati chiusi i portali di Bitmatic, Xmtoro.com e Cyber Capital, portando a 1140 il numero di siti bloccati dal 2019.

Come operava l'exchange 2139

2139 Exchange ha utilizzato un modello classico di truffa Ponzi: prometteva rendimenti molto superiori a quelli di mercato in tempi brevissimi, convincendo così migliaia di persone a investire i propri risparmi. In un primo momento, gli investitori potevano effettivamente vedere piccoli profitti, creando l'illusione di un sistema finanziario legittimo. Tuttavia, come accade spesso in questi schemi, i fondi sono rapidamente scomparsi e la piattaforma ha bloccato i conti degli utenti.

Gli investitori, circa 200mila tra Europa e Medio Oriente, hanno cominciato a notare problemi già dal 20 settembre, quando la piattaforma ha smesso di funzionare e sono comparsi messaggi di scuse generici. Molti di loro non hanno più potuto accedere ai fondi, e nel frattempo i creatori della truffa hanno fatto perdere le proprie tracce.

Le indagini e la collaborazione con Binance

Le autorità, grazie alla collaborazione di esperti e siti di debunking, sono riuscite a tracciare alcuni dei flussi di denaro sottratti, rilevando che una parte dei fondi potrebbe essere passata attraverso Binance, una delle piattaforme di scambio crypto regolamentate dalla Consob. Questo dettaglio è particolarmente importante, poiché Binance potrebbe essere obbligata a collaborare con le autorità per identificare i responsabili e congelare eventuali fondi ancora disponibili prima che vengano definitivamente occultati.

Rischi ulteriori per gli utenti truffati

La truffa di 2139 Exchange non si limita solo alla sottrazione dei capitali investiti. Vi è infatti il rischio, altrettanto grave, che i dati personali forniti dagli utenti al momento della registrazione siano stati rubati. Il furto di dati è una pratica diffusa nelle frodi online e i dati personali degli investitori potrebbero essere utilizzati per creare falsi profili o addirittura rivenduti sul dark web.

L'esposizione a questo tipo di rischio potrebbe avere conseguenze molto gravi per gli investitori: non solo potrebbero essere vittime di ulteriori frodi, ma i loro dati potrebbero essere utilizzati per commettere crimini sotto falsa identità.

Cosa fare per proteggersi

Gli esperti raccomandano ai risparmiatori colpiti di denunciare immediatamente il possibile furto di identità alle autorità competenti. Presentare una denuncia preventiva può proteggere gli investitori dal rischio di essere coinvolti in attività criminali effettuate da truffatori che utilizzano i loro dati.

Il caso di 2139 Exchange serve da monito per i risparmiatori: promesse di guadagni elevati e facili sono quasi sempre un segnale di truffa. È fondamentale fare attenzione e affidarsi solo a operatori autorizzati e regolamentati per evitare di cadere in frodi finanziarie che possono portare alla perdita totale dei risparmi.


Titoli illiquidi: lo Studio Spinapolice & Partners pronto ad azioni collettive contro Banca Sant'Angelo

La Banca Sant'Angelo è stata condannata a risarcire due investitori che avevano effettuato investimenti in titoli "illiquidi". La decisione è stata presa lo scorso 8 luglio dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo, che ha imposto all'istituto bancario la restituzione integrale delle somme perse dai due coniugi, inclusi gli interessi legali maturati nel frattempo, a seguito di investimenti in azioni illiquide, ovvero titoli che non possono essere facilmente rivenduti come avviene per quelli quotati in borsa.

L'investimento in questione era stato fortemente consigliato dalla banca a partire dal 2013, senza che i risparmiatori fossero stati correttamente informati dei rischi significativi associati a questo tipo di strumenti finanziari. Le azioni illiquide, infatti, comportano il rischio di perdita dell'intero capitale investito, principalmente a causa delle difficoltà nel loro smobilizzo, ovvero nella possibilità di convertirle rapidamente in denaro.

A tal proposito, l'Avv. Giovanni Spinapolice, Founding Partner dello Studio Spinapolice & Partners, ha dichiarato: "La sentenza rappresenta un importante precedente per tutti quegli investitori che si sono trovati nella medesima situazione. Siamo pronti a predisporre azioni collettive al fine di ottenere il risarcimento dei danni per coloro che, a causa di consulenze bancarie inadeguate, hanno subito perdite ingenti. Il nostro studio sta già raccogliendo adesioni per procedere in tal senso".

L'avvocato Spinapolice ha inoltre sottolineato come sia fondamentale, in questi casi, che gli istituti bancari rispettino gli obblighi informativi nei confronti dei clienti, soprattutto quando si tratta di investimenti ad alto rischio. "Le banche devono garantire la trasparenza e l’adeguatezza delle informazioni fornite ai risparmiatori, specialmente quando si tratta di prodotti finanziari complessi e non facilmente liquidabili", ha aggiunto.

Il caso della Banca Sant'Angelo potrebbe dunque aprire la strada a ulteriori richieste di risarcimento da parte di altri investitori che si trovano in situazioni analoghe, portando a nuove azioni legali collettive contro istituti bancari che non rispettano i propri doveri di trasparenza.


Banca Popolare di Bari condannata: oltre 170mila euro di risarcimento per la vendita di azioni illiquide.

Il Tribunale di Bari ha emesso una sentenza storica contro l'ex Banca Popolare di Bari, ora divenuta Banca del Mezzogiorno (BdM), condannandola a risarcire due risparmiatrici per un ammontare di oltre 170.000 euro. Le due donne, madre e figlia, avevano acquistato azioni della banca, che si sono rivelate illiquide, comportando per loro una significativa perdita di valore del capitale investito.

Le responsabilità della banca e l'inadempimento.

La sentenza del Tribunale di Bari ha messo in luce le gravi responsabilità della Banca Popolare di Bari. Secondo i giudici, la banca ha agito in modo inadeguato vendendo le sue azioni, caratterizzate da un alto grado di illiquidità, senza fornire una completa informazione sul rischio legato a questo tipo di investimento. In particolare, la banca avrebbe prospettato alle due risparmiatrici un rischio di perdita parziale, prossimo alla metà del capitale, senza avvertirle del possibile azzeramento completo del valore delle azioni, che si è poi verificato.

Il grave inadempimento della banca è stato dunque alla base della decisione di risolvere i contratti di acquisto delle azioni. Questo tipo di inadempimento è stato giudicato particolarmente rilevante in quanto contrario agli obiettivi di investimento che le due risparmiatrici avevano dichiarato, confermando l’inadeguatezza del prodotto venduto.

Il contesto delle azioni illiquide.

La vicenda della Banca Popolare di Bari è solo uno dei numerosi casi in Italia in cui le banche hanno venduto ai clienti azioni illiquide, titoli difficili da rivendere sul mercato secondario. Queste azioni, emesse spesso da banche cooperative o popolari, sono state offerte ai piccoli risparmiatori senza una chiara spiegazione dei rischi associati. Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008 e, più recentemente, con la crisi del sistema bancario italiano, molti risparmiatori si sono trovati in difficoltà a recuperare i loro investimenti, subendo perdite ingenti​.

La sentenza del Tribunale di Bari potrebbe costituire un precedente importante per altre cause simili, aprendo la strada a ulteriori risarcimenti per i risparmiatori che hanno subito perdite a causa della vendita di azioni illiquide.


L'onere della prova nei rapporti bancari: il correntista deve richiedere la documentazione prima di agire in giudizio.

Una recente sentenza del Tribunale di Grosseto (n. 728 del 4 settembre 2024) ha ribadito un principio fondamentale in merito all'onere della prova nei giudizi contro le banche. Il correntista o il mutuatario che intende contestare la legittimità di determinate clausole contrattuali o addebiti su conto corrente deve prima di tutto farsi carico di richiedere diligentemente la documentazione necessaria, come il contratto e gli estratti conto, prima di procedere con l’azione giudiziale.

La distribuzione dell'onere della prova.

Come stabilito dall’articolo 2697 del codice civile, spetta alla parte attrice fornire la prova non solo dell’avvenuto pagamento, ma anche della mancanza di causa giuridica che giustifica l’addebito. In questo contesto, il correntista che ritiene illegittimi determinati addebiti (ad esempio per interessi usurari, commissioni non dovute o clausole contrattuali imposte dalla banca) deve necessariamente produrre in giudizio il contratto di conto corrente e tutti gli estratti conto periodici relativi al rapporto bancario contestato​. 

Il diritto del correntista alla documentazione.

Il cliente bancario ha diritto, ai sensi dell'art. 119 del Testo Unico Bancario (TUB), di richiedere alla banca copia della documentazione relativa alle operazioni effettuate negli ultimi dieci anni, e non più solo cinque. Questo diritto include la possibilità di ottenere, entro novanta giorni, copia delle singole operazioni eseguite nel conto corrente. La richiesta può essere fatta anche prima di un’eventuale azione giudiziale, e il mancato ottenimento della documentazione può essere contestato in sede legale. Tuttavia, è fondamentale che il cliente si attivi in tempo per ottenere i documenti prima di avviare qualsiasi azione​.

La sentenza del Tribunale di Grosseto.

Nel caso specifico esaminato dal Tribunale di Grosseto, la parte attrice aveva avviato un'azione legale senza avere prima ottenuto tutta la documentazione necessaria dalla banca. L'azione, incentrata sulla ripetizione di indebito, è stata respinta perché non accompagnata da prove sufficienti, tra cui il contratto di conto corrente e gli estratti conto completi. Il giudice ha ribadito che il cliente-attore deve dimostrare di aver cercato di ottenere la documentazione ex art. 119 TUB, e solo in caso di mancata risposta da parte della banca può ricorrere al giudice per ottenere tali documenti​.

 

L'importanza della diligenza del cliente.

Questa decisione sottolinea l’importanza per i clienti bancari di agire con diligenza nel richiedere e conservare i documenti necessari. In assenza della documentazione completa, la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio (CTU) non può essere accolta, poiché la prova della legittimità o illegittimità di determinati addebiti deve essere fornita dalla parte attrice attraverso la produzione di documenti specifici.

Conclusioni

In materia di controversie bancarie, è essenziale che i correntisti si attivino per ottenere la documentazione necessaria prima di avviare azioni giudiziali. La recente sentenza del Tribunale di Grosseto chiarisce che, in assenza di tali documenti, il rischio di vedersi rigettare la domanda è elevato, con la conseguente impossibilità di dimostrare l’illegittimità degli addebiti contestati​.


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Reg. Trib. Roma n. 144 / 05.05.2011
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