ANNO XII - &MAGAZINE - 

Corte UE: Commissione non responsabile per il mancato salvataggio Banche Marche

La Corte Ue ha stabilito che la Commissione europea non può essere ritenuta responsabile di aver impedito il salvataggio di Banca Marche e, di conseguenza, ha confermato la sentenza del Tribunale Ue, che nel giugno 2021 aveva respinto il ricorso presentato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro e da altre quattro banche marchigiane. 

Il Tribunale Ue aveva infatti rigettato la richiesta di risarcimento dei danni provocati dalla Commissione europea nell'impedire il salvataggio della Banca delle Marche da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt). 

Banche delle Marche è stata posta in amministrazione straordinaria nell'ottobre 2013 ei commissari hanno tentato di risolvere la crisi con un intervento di sostegno da parte del Fitd; la Commissione ha indirizzato quattro lettere alle autorità italiane, comunicando che tale intervento avrebbe potuto contribuire un aiuto di Stato e che sarebbe stato opportuno aprire una procedura formale per l'approvazione europea

Vista l'urgente necessità di ricapitalizzare la banca, e considerata l'impossibilità di dare esecuzione all'Intervento offerto da Fitd in assenza di approvazione da parte della Commissione, la Banca d'Italia ha avviato una procedura di risoluzione di Banca delle Marche. 

Analogo intervento di Fitd a favore di un'altra banca, la Tercas, è stato censurato dalla Commissione in quanto aiuto di stato illegale e incompatibile con il mercato interno. La Corte di Giustizia ha annullato quest'ultima decisione, affermando l'insussistenza di un aiuto di Stato. Sulla scorta di tale motivazione, le banche interessate hanno adito il tribunale dell'Unione assumendo l'erroneità della posizione della Commissione in ordine alla natura di aiuto di Stato dell'intervento di Fitd in favore della Banca delle Marche, trattandosi di un fondo di diritto privato al quale unicamente soggetti privati. 

E collegando causalmente l'erronea posizione della Commissione alla scelta della Banca d'Italia di sciogliere la Banca delle Marche. Tale scioglimento avrebbe causato danni alle ricorrenti nelle loro qualità di azioniste e obbligazioniste subordinate di Banca delle Marche e di qui la richiesta di risarcimento alla Commissione per responsabilità extracontrattuale. 

Nel giugno 2021, Il Tribunale Ue ha stabilito che non esiste un nesso causale 'sufficientemente diretto” tra il comportamento ritenuto illecito della Commissione ed il pregiudizio dedotto dalle ricorrenti. In particolare, secondo il Tribunale, non c'è prova sufficiente a dimostrare che la decisione delle autorità italiane sia stata condizionata in modo determinante dalla Commissione e che, viceversa, esse non abbiamo deciso in autonomia, sulla base di proprie valutazioni inerenti tempi, modi e presupposti della risoluzione di Banca delle Marche. 

In sintesi, ad avviso del Tribunale, la risoluzione di Banca delle Marche da parte delle autorità italiane sarebbe stata determinata dal suo stato di dissesto. 


La spesa pubblica durante il Covid-19.

A circostanze eccezionali si reagisce con misure eccezionali. La risposta fiscale dei governi mondiali alla minaccia pandemica ha messo in campo degli stimoli senza precedenti. Grazie al lavoro di armonizzazione dei dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI) è ora possibile esaminarli attraverso una prospettiva globale.

A fronte di un contesto in cui nelle principali economie mondiali i tassi di interesse erano a zero o in territorio negativo ed i programmi di acquisto titoli delle banche centrali viaggiavano già a regime massimo, molto si è discusso sul fatto che la politica fiscale dovesse avere il ruolo principale nel contrasto alla recessione indotta dalla pandemia e dai lockdown generalizzati. I dati relativi agli ultimi 10 mesi (cfr. Figura 1) consentono di stimare l’entità dello sforzo che i governi stanno affrontando in termini di spesa pubblica effettiva (che esclude cioè garanzie pubbliche ed altri interventi potenziali).

Mediamente il FMI prevede nel 2020 deficit pubblici nell’ordine del -10, -12% in tutte le principali economie, di cui il 3-4% è ascrivibile al funzionamento degli stabilizzatori automatici (cassa integrazione guadagni, indennità di disoccupazione, etc.) e circa il 9% ad interventi diretti di stimolo.

Il Paese più propenso a lasciar crescere il deficit attraverso spese correnti è il Canada con interventi che andranno a sfiorare il 20% del PIL, seguito da Regno Unito (- 14,6%) ed USA (-12,5%). In media globale risultano i Paesi dell’area Euro, mentre le economie emergenti hanno messo in campo stimoli più limitati, anche per via del minore impatto che la pandemia ha avuto in termini di PIL.

In generale le misure adottate tendono a più che compensare il calo previsto del PIL (barre rosse), con le eccezioni di Francia e Spagna dove la crisi si sta rivelando più grave delle stime di qualche mese fa.

Figura 1
Figura 1

La Cina potrebbe essere tra i pochissimi Paesi (se non l’unico) ad avere un tasso di crescita positivo nel 2020 a fronte dell’indubitabile capacità di schiacciare l’epidemia a livelli insignificanti con un gigantesco sistema di test & tracing.

Settore privato e istituzioni pubbliche diverse dal governo

Tuttavia esaminare soltanto le spese correnti fornisce un quadro parziale e distorto dell’entità della risposta fiscale. Per avere una visione complessiva considerare anche quegli interventi che in gergo contabile vengono definiti “sotto la riga” (cfr. Figura 2, barre blu) e cioè l’appostamento di garanzie pubbliche, prestiti e partecipazioni nel settore privato insieme alle misure “quasi fiscali” messe in atto da altre istituzioni pubbliche diverse dal governo (come le banche centrali o banche pubbliche di investimento).

Figura 2

In questa prospettiva la classifica precedente viene ribaltata: ai primi posti appaiono Italia e Germania dove domina il peso delle garanzie statali (al 32,8% in Italia) e di prestiti e partecipazioni. Interessante il caso del Giappone che figura al terzo posto per via dell’incidenza preponderante di prestiti erogati attraverso istituzioni pubbliche non governative tra cui la banca dello Sviluppo nazionale. I Paesi dell’area Euro mostrano un’evidente preferenza verso lo strumento delle garanzie rispetto agli esborsi diretti, probabilmente anche per via dell’attitudine culturale al rispetto di rigidi vincoli di bilancio, nonostante il Patto di Stabilità e Crescita sia stato ufficialmente sospeso.

La situazione appare speculare nelle principali economie emergenti (Brasile, Russia, Cina) dove il peso degli interventi sotto la linea tende ad essere più basso, probabilmente per il limitato sviluppo del settore privato e una più ridotta capacità dello stesso di utilizzare proattivamente le misure di sostegno.
L’incidenza della spesa sanitaria di emergenza (barre rosse) si dovrebbe assestare mediamente intorno allo 0,6% del PIL, con i Paesi in via di sviluppo che hanno subìto un maggior impatto in bilancio di questa tipologia di spesa.

I beneficiari

Esaminando gli stessi dati da una prospettiva diversa è possibile effettuare una decomposizione del sostegno fiscale all’economia identificando gli operatori del settore privato che ne sono stati beneficiari (cfr. Figura 3). In questo caso le differenze più significative si osservano quando si isolano le economie avanzate da quelle emergenti: infatti in Occidente ed in Cina le corporations assorbono oltre il 30% degli aiuti totali erogati, mentre nei Paesi in via di sviluppo la quota si limita a poco più del 10%.

Si registrano poche differenze tra le due macrocategorie in termini di ripartizione delle risorse a favore degli schemi di sostegno all’occupazione (19% contro 13%), al reddito delle famiglie (18% contro 13%) ed alle piccole e medie imprese (11% contro 12%). Allineata nel complesso anche l’incidenza della spesa sanitaria.

Appare eclatante invece la differenza nelle risorse impegnate in progetti pubblici di potenziamento infrastrutturale: praticamente assenti nelle economie sviluppate (0,82%), i lavori pubblici assorbono oltre il 16% degli stimoli messi in campo dalle economie emergenti. Il dato comunque appare coerente con la maggiore incidenza della spesa corrente in questi Paesi rispetto a schemi di supporto al settore privato più evoluti come garanzie o partecipazione al capitale d’impresa.

Grande incertezza

Mentre ottobre 2020 volge al termine, il quadro macro rimane comunque volatile e soggetto a grande incertezza. Gran parte delle previsioni effettuate dal FMI non considera l’impatto sul PIL della recrudescenza della pandemia in Europa ed USA che si sta sviluppando con l’avanzare della stagione autunnale.

È abbastanza scontato che le stime di crescita del PIL nel quarto trimestre saranno riviste al ribasso per via degli effetti di nuove misure restrittive – per ora a carattere localizzato – praticamente in tutte le economie occidentali. In risposta al rallentamento economico c’è da aspettarsi un rinnovato round di misure fiscali espansive: in USA c’è aperta discussione su un secondo imponente programma di stimolo che potrebbe essere varato appena dopo il periodo elettorale, indipendentemente dal vincitore.

Dai dati del FMI, è possibile mettere in relazione il calo stimato del PIL in questo nuovo contesto peggiorato con la severità delle misure di restrizione varate dai governi nei rispettivi periodi acuti della crisi sanitaria (ad es. in inverno in Cina, in primavera in Europa ed USA, in estate in Brasile, cfr. Figura 4).

Figura 4

Con tutti i caveat del caso che comprendono l’influenza di numerosi altri fattori (clima e stagionalità in primis), è possibile apprezzare una relazione diretta tra severità delle misure di contenimento e minore impatto sul PIL. Il che non implica certo l’assioma: più stringente è il lockdown, meglio andrà l’economia.

La relazione va interpretata in termini di efficacia delle misure: più l’epidemia è contenuta efficacemente (e spesso – ma non sempre – lo è con misure più drastiche), più ridotto è il calo del PIL nei mesi a seguire. Certamente è doveroso notare come Francia, Spagna ed Italia sembrino degli outlier nel gruppo di economie rappresentate, in cui dei lockdown piuttosto severi vengono associati a cali stimati del PIL altrettanto marcati.

In definitiva, esaminati da una prospettiva ampia, durante la prima fase della pandemia gli interventi di politica fiscale hanno efficacemente supportato la politica monetaria ed evitato un collasso incontrollato dell’economia globale.
Manteniamo la barra dritta anche in questo secondo, difficile, round.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali

 

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Boom esportazioni Cina.

Le esportazioni del dragone cinese hanno di nuovo spiccato il volo.

L’economia globale è in piena recessione ed il volume del commercio globale è sceso del 18,5% nel secondo trimestre 2020; ciò nonostante per il 5° mese di fila il volume di scambi da/per la Cina è salito di una media del 5,6% anno su anno, con una crescita del 10,4% delle esportazioni e dell’1,4% delle importazioni.

Questo implica che dopo anni di declino il peso cinese nel commercio globale è tornato a crescere nel 2020 (+0,1%). È un trend destinato a consolidarsi con la progressiva ripresa dell’economia: la Cina rischia di chiudere il 2020 con il più alto surplus della bilancia commerciale di sempre (cfr. Figura 1).


La crescita degli ultimi mesi è stata trainata dall’export di materiale sanitario ed apparecchiature elettromedicali, su cui la Cina ha mantenuto una schiacciante superiorità produttiva rispetto alle economie occidentali nonostante lo stop dovuto al lockdown nazionale. Prezzi del petrolio e delle materie prime straordinariamente bassi hanno aiutato la ripresa delle esportazioni in tutte le principali aree geografiche: il valore dell’interscambio con l’Unione Europea è già tornato ai livelli pre-pandemia. Rispetto al 2019 permane un calo del 5% dei volumi verso gli USA, anche se il rimbalzo si sta dimostrando più forte di quanto preventivato (cfr. Figura 2).

Figura 2

A metà 2020 per ogni dollaro in ingresso in Cina grazie all’export, solo 75
centesimi vengono impiegati per le importazioni. Se si guarda esclusivamente al
settore manifatturiero, la Cina spende per l’import solo 50 centesimi su 1 dollaro
incassato. Quando il volume delle esportazioni raggiunge i 2.000 miliardi di $,

questo gap diventa il motore della ripresa del PIL, che è cresciuto di un

ragguardevole +3,2% nel secondo trimestre 2020; per avere un confronto i
Paesi OCSE hanno sperimentato un calo del -9,8%.
Il governo ha sostenuto la ripresa economica export-driven come obiettivo
strategico. Rispetto alle dimensioni totali dello stimolo fiscale pari a 880 miliardi
di $, Pechino ha destinato 116,6 miliardi a detrazioni ed esenzioni fiscali sulle
esportazioni. Queste misure di sostegno hanno consentito alle imprese di
riavviare rapidamente le operazioni sul mercato estero nonostante i problemi di
liquidità.
Il grande assente nella risposta governativa allo shock pandemico è stato un
programma di stimolo dei consumi privati, a differenza dell'Occidente. Lo
stimolo fiscale previsto è attualmente di 4-5 volte inferiore a quello degli USA.
Poca roba rispetto a quanto venne stanziato dopo la crisi finanziaria del 2008-
2009, quando la Cina - con un'economia 3 volte più piccola rispetto all’attuale -
varò un programma di espansione fiscale pari a quello americano.

Il grande afflusso dei capitali dall’estero

Soltanto 2 anni fa sembrava che la progressiva integrazione finanziaria della
Cina e la perdita di competitività rispetto alle altre economie emergenti asiatiche
stessero erodendo il primato nelle esportazioni.
Ciò si stava riflettendo in un riassorbimento tendenziale dello storico surplus
delle partite correnti ed in un nuovo interesse delle corporations cinesi ad attrarre
capitale estero tramite ricapitalizzazioni e nuove emissioni di titoli di debito.
C’era già chi profetizzava una nuova economia globale in cui anche la Cina
avrebbe avuto un deficit delle partite correnti, assumendo il ruolo di consumatore
di ultima istanza ora svolto esclusivamente dagli USA.
La crisi pandemica ha completamente stravolto il quadro e riproposto con
decisione la posizione della Cina come “fabbrica del mondo” ed attrattore di
capitali esteri. Per capire cosa stia realmente succedendo è utile osservare da
vicino la struttura della bilancia dei pagamenti (BdP) cinese, che registra la
tipologia di transazioni sottostanti ai movimenti di capitali.
Il primo fenomeno che balza agli occhi è la ripresa spettacolare dell’avanzo delle
partite correnti nell’ultimo trimestre, che fino a fine 2019 sembrava in declino
strutturale. Oltre alla riduzione tendenziale dell’avanzo commerciale c’era un
altro fattore all’opera: il crescente deflusso di capitali connesso con l’aumento
del turismo internazionale dei cittadini cinesi (Figura 3, barre gialle), che aveva
raggiunto ad inizio 2020 la ragguardevole dimensione del 3% del PIL, circa 500
miliardi di $ l’anno.
Non era solo turismo: l’aumento del reddito disponibile di una classe media in
espansione andava di pari passo con le richieste di trasferimento fisico (per lo
più legale) di valuta all’estero per la quota massima concessa dal governo (circa
50.000$ all’anno per cittadino).
Figura 3


Con lo shock pandemico, si nota non solo l’impressionante “stop and go” del saldo
commerciale dovuto al lockdown ed alla successiva fortissima ripresa ma anche la
marcata riduzione dei deflussi di capitale connessi al turismo internazionale,
crollati dai 60 miliardi di $ mensili di inizio 2020 ai 20 di giugno. La somma di
questi effetti ha portato ad una crescita senza precedenti del saldo delle partite
correnti, +150 miliardi di $ in un singolo trimestre.
La ripartenza del surplus delle partite correnti ha implicazioni di rilievo anche
sul saldo dei flussi finanziari della BdP cinese, dato che per definizione la somma
dei due saldi, del conto capitale e di eventuali errori ed omissioni deve essere
pari a zero. L’analisi del conto finanziario contribuisce a definire un quadro
chiaro sulla destinazione d’uso della liquidità in ingresso in Cina (cfr. Figura 4).
In questo contesto, valori positivi sono convenzionalmente associati a deflussi
di liquidità, e viceversa. Ad esempio, un investimento in attività estere di
cittadini cinesi è contabilizzato come deflusso di liquidità, un disinvestimento
viceversa. Parimenti, un investimento estero in attività cinesi è considerato un
afflusso di liquidità, un disinvestimento viceversa.
Figura 4